lunedì 14 luglio 2008

SERRATURA DI CASTELLO

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Rocca Calascio (PE)

martedì 8 luglio 2008

DOWNTOWN

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Penne (TE)

venerdì 4 luglio 2008

sabato 28 giugno 2008

mercoledì 25 giugno 2008

NUOVI EREMITI

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Monte Sacro (FG)

giovedì 19 giugno 2008

mercoledì 11 giugno 2008

ALTARE IN LEGNO

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Sant'Eufemia a Maiella (PE)

domenica 8 giugno 2008

NO ENTRY

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Ortona al mare (CH)

sabato 26 aprile 2008

sabato 19 aprile 2008

venerdì 18 aprile 2008

martedì 4 marzo 2008

Viaggiatori (incoscienti) come noi: Yuri Gagarin

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Perchè Viaggiatore: primo uomo nello spazio.

Perchè Incosciente: Aveva come predecessore Laika.

sabato 2 febbraio 2008

venerdì 1 febbraio 2008

ABSTRACT

1. In quale città d’arte hai trascorso quest’anno le tue vacanze?
2. Quale palazzo, duomo, cortile, piazza… ricordi con entusiasmo?
3. Sei sicuro di non confonderti?
4. Quanti chilometri hai percorso per arrivare a destinazione?
5. Sei del sud e sei andato al nord o sei del nord e sei andato al sud?
6. Di quanti piani è il tuo palazzo? E quelli del palazzo di fronte?
7. Non dirmi che sei andato a contarli?

"Nella primavera del 1137 san Bernardo di Chiaravalle percorse tutto il perimetro del lago di Ginevra senza nemmeno accorgersi della sua presenza. Ugualmente, dopo avere trascorso quattro anni in monastero, san Bernardo non era in grado di dire se il refettorio avesse il soffitto a volta (ce l’ha) o quante finestre avesse il presbiterio della chiesa (ne ha tre)."
Architettura e felicità, Alain de Botton, pag. 10 paragrafo 2

Dopo la lettura di queste poche righe una risata scappa. Ma se poniamo un’attenzione particolare, credo che noi non siamo certamente superiori a san Bernardo. Visitiamo borghi e città dimenticando le sostanziali caratteristiche che le differenziano. Non parliamo ovviamente delle famose “città cartolina”.
Piazza navona non è Piazza della Signoria.
Tutti conosciamo la loro collocazione geografica, sappiamo tutti che entrambe le piazze hanno una fontana. Ma se prendiamo in considerazione il duomo della vostra città, ricordate quanti ingressi possiede? O se la copertura è costituita da una volta a crociera o a botte?
Davanti a queste semplici domande la nostra memoria è in difficoltà? Sicuramente ricorderemo la facciata, ma a stento riusciremo a ricordare i suoi particolari. Come vedete non si prende più in considerazione Roma o Firenze, ma il nostro centro di residenza.
Visitiamo Venezia ma non conosciamo il nostro capoluogo di provincia o la città limitrofa. Questo accade perché non pensiamo di essere attratti da una città o borgo che tutto sommato conta 1.000 anime. Al contrario più è estesa più c’è da vedere.

Noi di “Viaggiatori Incoscienti” a riguardo abbiamo un pensiero alternativo.
Si è operosi di giorno, si riposa la notte.
Ma proviamo a invertire i verbi:
Si riposa di giorno, si è operosi la notte.

Avete mai osservato un borgo nelle ore notturne? Perché la notte? Provate a visitare una città/borgo di giorno e visitatela di notte (per notte intendiamo da mezzanotte in poi) e alla fine confrontate. Quale fascia oraria vi ha trasmesso la sensazione più forte. Per esperienza personale non esiterei, nel rispondere di notte. Un detto dice “la notte porta consiglio”. Credete non sia vero? Provare per credere.

Per ora “Viaggiatori incoscienti” cerca di descrivere una classica nottata fuori porta:
Il nostro kit è sempre in auto e lo spazio che occupa è davvero ridicolo una minuscola mappa del territorio, una torcia, sigarette con accendino, macchina digitale 4x di una marca generica e quando capita una bottiglia di birra o di vino (esclusivamente Montepulciano d’Abruzzo).
La meta è fondamentale, da essa dipende il nostro futuro stato emotivo. Ammettiamo che a volte scegliamo la destinazione per simpatia, per sentito dire, o perché il suo nome rievoca in noi strani presagi.
Per sicurezza decidiamo di scrivere su di un pezzo di carta la strada migliore da percorrere, anche se siamo consapevoli dell’eventuale smarrimento, causato dalla scarsa visibilità. I fanali dell’auto nel cupo territorio sono l’unica fonte di sostentamento. I nostri occhi quasi socchiusi dalla stanchezza si spalancano alla vista di una qualsiasi indicazione stradale, il più delle volte nascosto dietro qualche ramo, con l’inevitabile affermazione “ci siamo persi”.
Ed è qui che ha inizio l’avventura. Ci si fida dell’istinto dinanzi ad un bivio e speriamo che questa strada non sia troppo lunga per il nostro serbatoio (vi raccomandiamo un mezzo pieno prima della partenza, perché non assicuriamo la presenza di distributori self-service).

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Le prime luci che vediamo all’orizzonte, ci confortano e sappiamo già che hanno qualcosa da dichiararci. Le lampade a vapori di sodio a bassa pressione, così si chiamano la maggior parte dei lampioni che illuminano le nostre città, ci svegliano. Nello specchietto retrovisore abbandoniamo il fitto nero e ci lasciamo coinvolgere dalle luci soffuse. Ovviamente alle 2 del mattino non abbiamo problemi di parcheggio e ad operazione conclusa la città è solo nostra. Siamo per un tot tempo gli unici abitanti vivi di quel luogo quasi sempre accompagnati dal classico cane di quartiere “Nerone”, (forse chiamato così perché lo si scorge solo di sera, non pensiamo certamente che egli abbia appiccato qualche focolare da qualche parte)o da qualche gatto che puntualmente sono sempre bianchi o neri (forse perché il nero ha vergogna e vuole mimetizzarsi,mentre il bianco, più vanitoso desidera farsi notare), mai visto finora un gatto maculato.

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Ritornando a noi. Iniziamo ad aggirarci con discrezione nel centro abitato senza dare fastidio, a volte parlando così a bassa voce da non sentire le nostre stesse affermazioni o domande, quasi per non dare nell’occhio pur essendo(credo)gli unici. Diciamo credo, perché qualcuno può essere sveglio e notarci. Il silenzio è principe, anche se a volte viene interrotto dal televisore con volume troppo alto proveniente dalla stanza di un palazzo che pensavamo fosse disabitato o dal russare di qualcuno che ha tanta voglia di dormire, in definitiva lo spettacolo è nostro. Una sceneggiatura scritta solo per pochi.

Attraversiamo strade deserte, ma respiriamo aria di sopravvivenza. Il mattone o la pietra restituiscono quella essenza di remoto che molti altri edifici hanno perso, aggiungendogli involontariamente un abito con colori così sgargianti che hanno a che fare poco con l’antico.


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Si distinguono le case aristocratiche da quelle meno fortunate, ed è qui che parte la nostra immaginazione sulla popolazione che per millenni l’abitava. Luoghi di culto che si mimetizzano nello sky-line e chiese prepotenti con la presunzione di farsi notare. Un’avvicendarsi di residenze, che durante il giorno non noteresti, indossano il loro abito serale migliore e ci ricevono alla loro festa di gala, ormai da tutti trascurata. La luce crea contrasti sorprendenti, a volte abbagliano a volte indicano e là dove non esiste un percorso visivo, scatta la nostra torcia. Quel debole flusso luminoso mostra a pezzi la facciata di un palazzo, un tempo abitato da qualche ricco facoltoso. Quel cerchio di luce, man mano che si muove ci mostra una porta semiaperta, che fa esaltare il nostro senso di avventura.
Ci emozioniamo alla sola vista di un arco non intonacato da anni o da un tavolo apparecchiato con un dito di pulviscolo, attorniato da polvere, legna e pezzi di un’auto non più in produzione, ma con la credenza chiusa contenente qualche piatto o utensile da cucina. In questi casi nulla deve essere spostato, non modifichiamo la sua storia, ma è la nostra che viene a modificarsi, e i nostri volti sconcertati ne sono la conferma. Ci sorprendiamo se una parete conserva ancora testimonianze sbiadite del periodo bellico con la sua rivolta contadina, o incita la corsa di un Bartali. E rimaniamo estasiati quando scopriamo tracce (documentate) di templari sul retro di una chiesa.

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A ciascun edificio chiediamo non soltanto che assolva a una certa funzione, ma anche che abbia un certo aspetto e contribuisca a creare una precisa atmosfera: di religiosità o di cultura, di semplicità o di modernità, di lavoro o di vita familiare.
Gli edifici parlano, e parlano di argomenti che si possono comprendere facilmente. Parlano di democrazia e aristocrazia, di disponibilità e arroganza, di accoglienza e minaccia, di partecipazione al futuro e nostalgia per il passato.
La notte regala tutto un altro fascino, i colori del borgo sono pacati e sarà forse questa pacatezza che ci offre ogni volta un qualcosa in più da raccontare.


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Dopo tutto questo come si fa a non essere felici.
Sei ancora attratto dal caos cittadino?
È in questi luoghi, a volte immersi in leggende popolari che crediamo di essere felici.
Stendhal diceva: “
Esistono tanti stili di bellezza quante visioni delle felicità.
Per noi, attualmente, questa rappresenta la nostra.

sabato 19 gennaio 2008

TRA ROCCE, CASTELLI E TORRACCHIE pt.2

Le ruote ricominciarono a scivolare sull'asfalto, lasciandosi alle spalle il conosciuto con lo sguardo fisso verso nuovi panorami che comparivano dopo ogni
curva, e di curve ce n'erano proprio tante ..

sempre più preda dell'incoscienza, sempre più fuori dal percorso stabilito, sempre più coinvolti dall'inferrabile smania di scoperta, i nostri buttarono la cartina per affidarsi unicamente al destino, tutto, da allora in poi,sarebbe comparso ai loro occhi solo come un dono della casualità e della coincidenza, quando il niente dell' indefinito assume più importanza del tutto conosciuto.
Ad un tratto un grido si levò dal sedile posteriore.
-Ma cos'è quella cosa là?!-

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Scesi dalla macchina, si munirono di cannocchiale (che deve sempre far parte del guardaroba del perfetto viaggiatore) e lo puntarono verso il punto indicato dal peloso dito del compagno, ne scaturì un'accesa discussione:
-E' un castello!-
-E' una casa-
-Non lo so, comunque, a scanso di equivoci, mi pare una torracchia-

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Infatti, in lontananza, spuntava tra gli avvallamenti montani una torre o almeno quello che si presumeva essere una torre e che, raggiunto dopo molto tempo e intuito il punto presunto di localizzazione si realizzò essere effettivamente una torre, o meglio, una torracchia.
Quale spettacolo .. in Forca di Penne,
nel punto più alto i nostri, assaliti da un vento impetuoso che sembrava volerli trascinare con sè (cosa magari possibile con Fabio e Antonio ma non con un tipo dalla stazza di Angelo), lo sguardo degli avventurieri dominava tutto il paesaggio circostante, niente era precluso ai loro occhi curiosi, da quella posizione loro erano i dominatori della vallata.

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Fatte le dovute recognizioni ed appurato che quel manufatto, un tempo lontano usato per scopi bellici e strategici, adesso era diventanto culla dei sogni di giovani innamorati, risalirono sulla loro ruggente vettura per dirigersi verso il paese più vicino: Brittoli.

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Arrivati a destinazione si ristorarono con un refrigerante gelato, per poi ricominciare il loro viaggio.
La spia della benzina si fece rossa, e una leggera apprensione si diffuse all'interno della vettura. Il viaggio si presumeva essere ancora lungo, e nessun benzinaio compariva ai lati della stretta strada, come rifornirsi di carburante in una terra che all'imbrunire sembrava essere tornata indietro di anni, quando altre tipologie di quadrupedi erano il principale mezzo di locomozione, non la ruota ma lo zoccolo?
Niente, si continuava ad andare avanti, mai la loro mente si arrese al pensiero di tornare sui loro passi, bisognava continuare, qualcosa sarebbe accaduto. Raggiunta quota 1330 s.l.m. Castel Del Monte li accolse nel suo grembo, e Fabio, appena entrati in città, fece rombare i motori rischiando di investire villici con la pessima abitudine di passeggiare in mezzo la strada piuttosto che utilizzare gli appositi marciapiedi. Lì i loro desideri e speranze vennero esauditi, trovarono un benzinaio! Fatto il pieno, e rilassati dal pericolo scampato, parcheggiarono l'abbeverata auto per fare una visita al paese.

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Una città di pietra venata da stretti vicoli che accompagnavano i visitatori lungo le direttive principali, salite e discese si susseguivano, e nel percorso i nostri constatarono il notevole impegno profuso dagli abitanti per conservare l'aspetto originale dell'antico borgo, non esaltante ma gradevole, col Duomo privo di una degna facciata e colonizzata da francesi, francesi di Francia o d'Italia.

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Affacciatisi sul belvedere, in un certo punto un picco della montagna sembrava prendere i contorni di manufatto umano, strinsero i loro occhi per capire se quello che vedevano era reale o solo uno scherzo dell'immaginazione, ma non riuscirono ad andare a capo di questo punto.
Presi dall'eccitazione di una nuova possibile scoperta, chiesero ad una vecchia autoctona se quello che vedevano era realtà o solo immaginazione, lei gli rispose -Quella è Rocca Calascio, andate, andate che è bello!-
E andarono.
La strada si fece impervia e la salita sempre più ripida. I colori cominciarono ad imbrunirsi, segnali di un tramonto ormai imminente, con essa comparvero i primi segnali di stanchezza e assuefazione ad una atmosfera che continuava, secondo dopo secondo, ad assumere i contorni del magico.

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Salendo su Rocca Calascio, evitando con lo sguardo le piccole locande presenti e concentrandosi solo sulle vecchie abitazioni, i rampicanti che ne erano diventati gli ultimi e definitivi padroni, un salto nel tempo stava avvenendo, i cuori dei nostri sempre più consci dell'esperienza che stavano vivendo vogliosi di assuefarsi ad antichi sapori ed atmosfere, continuarono a salire seguendo un sentiero brecciato alla cui fine comparve, come preludio all'esperienza definitiva, il Battistero ottagonale.

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I viaggiatori alzarono poi lo sguardo, sopra di loro sorgeva il castello di Rocca Calascio.

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Non era semplice raggiungerlo, i nostri fecero ricorso a tutte le loro abilità
atletiche per scalare i roccioni che avrebbero poi segnato l'impervio sentiero che conduceva al castello, ma una volta raggiuntolo, tutta la loro stanchezza venne ricompensata e sopravanzata da quelle sensazioni che è possibile capire solo quando si è vissute.

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Rifugiatisi in una torre del castello, la solitudine totale li avvolse.

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Niente di male, perchè la seguì la pace. A 1500 sl.m., lì sopra, c'erano solo loro. Solo loro.
Esperienze che gratificano come vedere il sole già tramontato ad est e sulla via del tramonto ad ovest.
Lì dove erano loro, un tempo erano accadute storie di corti e cavalieri.
Principi e vassalli. Dame e servitù.
Ma ora, la notte era ormai l'unica padrona.

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Mancava solo un'unica cosa per appagare completamente l'anima dei nostri viaggiatori incoscienti; cominciarono ad evocarla piano piano, ma il suono della loro voce salì d'intensità mano a mano che in loro cresceva la consapevolezza che, dopo aver vissuto tutto questo, tutto poteva diventare possibile.
Una parola che diventò una litania -ufi, ufI, uFI, UFI!-
Ma nessun Ufo comparve, con enorme disdetta dei nostri, Angelo pianse (non è vero, ma a sto punto tutto è concesso).
In compenso, al ritorno, si pose un nuovo problema: se già la salita risultò impervia seppur con l'ausilio del flebile sole che ancora illuminava il loro cammino, come intraprendere la discesa attraverso quei roccioni e strapiombi in presenza di una oscurità totale? La cosidetta "cacazza" fu tanta. Ma bisognava scendere. La tecnologia e l'instinto venne in loro soccorso: in rigorosa fila indiana, illuminati dalla flebile luce del cellulare di Fabio, con passo incerto e tremolante i nostri riuscirono, dopo un periodo di tempo che sembrava interminabile, a raggiungere il sentiero di partenza, l'ennesima dimostrazione della loro immensa capacità di sopravvivenza.
La loro incoscienza gratificata dal successo.

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Si fermarono per alcuni minuti a rimirar le stelle, mai così vicine, e a malincuore si ridiressero verso quello che alcuni illuminati continuano a chiamare civiltà.
La metropoli. O qualcosa di simile.

Qui si concluse, dopo gli innumerevoli chilometri percorsi in un solo giorno, l'avventura. La cartina fu abbandonata, stracciata e mangiata dai nostri Viaggiatori Incoscienti, perchè simbolo di tutto ciò che loro ripudiano.
L'avventura non può essere guidata.
E questo è quanto (speriamo).
Alla prossima ..